Cittadini d'Italia

La storia dei popoli è una storia di migrazioni e poi di figli e nipoti delle migrazioni. In Italia sono circa un milione  e mezzo i giovani, dai neonati ai quarantenni, nati e/o cresciuti qui da famiglie non autoctone. Per loro sono molte – troppe – le situazioni di esclusione e marginalizzazione figlie dell’attuale legge per l’ottennimento della cittadinanza. Si tratta infatti di una legge obsoleta nella forma e nella sostanza perché è stata approvata 30 anni fa, quando l’Italia era un Paese molto diverso, ma anche perché già allora la legge nasceva sull’onda di un desiderio di chiusura verso i primi significativi arrivi di migranti sulle nostre coste. Quello che noi auspichiamo e chiediamo con forza per il bene del Paese è un approccio del tutto diverso, basato sull’inclusione e sul riconoscimento formale della cittadinanza a chi è italiano di fatto ma viene trattato dallo Stato italiano come una persona di serie B. La riforma della legge di cittadinanza deve rispondere a questo approccio, includendo chi nasce in Italia da genitori che qui sono residenti, chi arriva in Italia da minore e anche i maggiorenni che attualmente devono sottostare a un iter lunghissimo e irto di difficoltà per poter acquisire la cittadinanza del nostro Paese.

All’arrivo erano guardati con sorpresa, e via via che la destra ha individuato in loro un mezzo per galvanizzare consensi elettorali, con paura. Oggi li chiamiamo “nuovi italiani” perché stanno acquistando sempre più spesso la cittadinanza ma soprattutto perché si sentono parte di questo Paese. Sono le persone con cui intrecciamo in mille modi la quotidianità, le nostre vite, le persone insieme alle quali formiamo la società italiana. Non solo. I nuovi italiani questa società l’hanno cambiata. Come? Integrandosi. Non esiste un’integrazione univoca, si tratta di un processo e mentre avviene c’è sempre qualcosa del nuovo arrivato che diventa parte di te. Per questo gli altri grandi protagonisti del processo d’integrazione dei migranti in Italia sono gli italiani stessi. Ogni storia di integrazione è una storia di incontri, lunghi dialoghi per superare le incomprensioni, barriere abbattute seppure con difficoltà, rapporti costruiti negli anni. L’integrazione è un patrimonio comune, che ci appartiene e di cui dobbiamo essere orgogliosi. Un patrimonio da custodire e valorizzare, dove è continuamente necessario intervenire per sistemazioni e migliorie, come facciamo con il nostro patrimonio culturale.

C’è una prima condizione da superare per chi arriva in Italia ed è quella di “regolarizzarsi”: un cambiamento di condizione burocratica i cui risvolti legali rappresentano un cambiamento di vita dalla notte al giorno. Con i flussi di immigrazione regolare bloccati, l’unico modo per arrivare in Italia è su mezzi di fortuna, sfidando il mare e gli altri tipi di confine. Per questo una persona su due tra gli immigrati arrivati qui negli ultimi 30 anni lo ha fatto da irregolare e ha dovuto in seguito regolarizzarsi per poter iniziare alla luce del sole il suo percorso di vita in questa società. Permettere ai migranti che sono qui di diventare regolari è fondamentale per favorire l’integrazione, fermare ogni tipo di devianza, togliere i più deboli dalle grinfie della criminalità organizzata e del caporalato.

Oggi che siamo nuovamente dentro un processo di regolarizzazione – anche se purtroppo parziale e non così incisivo quanto sarebbe stato necessario – è importante ascoltare le storie di chi questa storia l’ha già vissuta.  Come quella di Al Hassan, che ha lasciato la sua casa in Sierra Leone a causa della guerra e oggi si mette a disposizione dei più bisognosi, tra cui molti italiani che frequentano l’oratorio di Formia dove lavora. La riconoscenza verso gli italiani è sentita da tutti, ognuno a modo suo. Abdullahi, del Gambia, dice grazie innanzitutto alla Guardia Costiera italiana che lo ha salvato in mezzo al mare. Prima di affrontare il mare lui e Al Hassan sono passati dalla Libia. Di quell’inferno rifiutano di parlare, significherebbe evocare ricordi troppo dolorosi per essere condivisi con altri. Mentre la decisione di affrontare il viaggio da irregolari pesa ancora oggi, – anche se sono passati oltre vent’anni – come nel caso di Ermir. Il fatto che molti altri connazionali immigrassero allo stesso modo non è abbastanza per sentirsi a posto, la mente va continuamente a quell’altra possibilità, desiderata ma inesistente: l’immigrazione regolare. È questa la finestra che dobbiamo aprire con coraggio, affrontando il dibattito pubblico con realismo, serietà e impegno a difesa dei diritti umani. L’obiettivo è far capire i benefici che derivano per l’Italia da flussi regolari e integrazione – che significano anche blocco di molti trafficanti di essere umani e delle traversate in mare –  portando questa visione a diventare maggioritaria nel Paese. Per tutte le persone intervistate l’inserimento nella società italiana e l’approdo a una piena cittadinanza è passato attraverso la formazione professionale e lo studio della lingua, attività da rendere centrali per un’efficace politica pubblica di integrazione. Purtroppo con i Decreti Salvini i fondi per l’integrazione sono stati tagliati di netto, lasciando sole le associazioni della società civile che svolgono da decenni il prezioso ruolo di accompagnamento all’integrazione. Sempre più spesso nelle associazioni troviamo “nuovi italiani”, persone che decidono di aiutare chi sta vivendo lo stesso processo da cui loro sono già passati. Lo racconta Aurelia, che fa la mediatrice culturale e ascolta ogni giorno le difficoltà di chi non ha un permesso di soggiorno, quel documento che “può sembrare una parola ma è una grande cosa”, come sintetizza Ervin, sbarcato come minore non accompagnato nel 1991 e oggi padre di due figli che sono cittadini italiani. Regolarizzare significa dare voce e diritti agli invisibili. Lo sottolinea anche Mimoza, che invisibile lo è stata per quattro anni, fino a quando è diventato possibile regolarizzarsi con la sanatoria del 1996.

Le persone arrivate in Italia da immigrate sono molte. Quasi tutte sono pronte a condividere la propria esperienza di integrazione, così come sono disposti a farlo molti italiani che ne sono stati parte. Sta a noi ascoltarli e fare tesoro di questo vissuto comune per trasformare le buone pratiche di cui è ricca l’Italia in efficaci politiche pubbliche.

Siamo Dalla parte giusta della storia, per una riforma della legge sulla cittadinanza

Il primo luglio 2021 è nata la Rete per la riforma della cittadinanza. Noi di Volare siamo fieri di essere tra le associazioni che hanno costituito la Rete. Chiediamo una riforma seria, che abbia il coraggio di contrastare le narrazioni distorte degli ultimi anni e che parli di uguaglianza, nel rispetto dell’art.3 della nostra Costituzione, facendo recuperare all’Italia il terreno perso in tema di diritti rispetto altri Paesi europei.

IUS SCHOLAE

La posizione della rete per la riforma della cittadinanza

La Rete per la riforma della cittadinanza ha inviato questo documento ai membri della Commissione Affari Costituzionali. Sintetizza la nostra posizione nei confronti della proposta di “Ius Scholae” elaborata dall’on. Brescia e adottata dalla Commissione. Ci auguriamo che la riforma vada a buon fine e che il testo possa essere migliorato nell’ambito dei lavori parlamentari in modo che possa essere riconosciuta la cittadinanza a chi nasce, cresce, vive stabilmente in Italia in maniera significativamente più equa e inclusiva rispetto all’attuale normativa.

Non solo Cittadini d'Italia

social

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.